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Nucleare subito al test scorie. Sei mesi di tempo per risolverlo

Occhio ai siti dove piazzare le nuove centrali atomiche italiane. Con tutti i problemi del caso. Amplificati, come da molti temuto, dalla marcia indietro delle due sole amministrazioni regionali che avevano espresso la disponibilità a favorire il rinascimento dell'atomo elettrico italiano. Sia Giancarlo Galan (Veneto) che Raffaele Lombardo (Sicilia) confermano la nuova e più prudente linea strategica. Il Veneto ne parlerà solo dopo una dettagliata anamnesi tecnico-scientifica e la Sicilia si appellerà in ogni caso ad un referendum popolare. Come a dire: tempi lunghissimi anche nelle due regioni disponibili semplicemente a parlarne….

2009-07-11

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2009-07-11

Nucleare subito al test scorie. Sei mesi di tempo per risolverlo

di Federico Rendina

11 luglio 2009

Occhio ai siti dove piazzare le nuove centrali atomiche italiane. Con tutti i problemi del caso. Amplificati, come da molti temuto, dalla marcia indietro delle due sole amministrazioni regionali che avevano espresso la disponibilità a favorire il rinascimento dell'atomo elettrico italiano. Sia Giancarlo Galan (Veneto) che Raffaele Lombardo (Sicilia) confermano la nuova e più prudente linea strategica. Il Veneto ne parlerà solo dopo una dettagliata anamnesi tecnico-scientifica e la Sicilia si appellerà in ogni caso ad un referendum popolare. Come a dire: tempi lunghissimi anche nelle due regioni disponibili semplicemente a parlarne.

Ma ecco emergere un ostacolo ancora più duro per l'esito del rinascimento atomico promesso con la legge "sviluppo" varata ieri l'altro: la gestione delle scorie già prodotte dalla nostra attività nucleare. Anche questo tema dovrebbe essere chiarito – dispone la legge delega appena approvata – entro i sei mesi nei quali il governo dovrà definire i criteri per costruire le centrali sul territorio e possibilmente anche le prime bandierine da piazzare sulla carta geografica.

Le scorie imbarazzano davvero. Anche perché ne abbiamo in proporzioni tutt'altro che trascurabili: quelle ereditate dall'attività nucleare sospesa dopo il referendum del 1987, quelle frutto dello smantellamento delle nostre quattro vecchie centrali atomiche di Trino, Caorso, Latina e Garigliano e quelle (che da sole non costituirebbero un gran problema) prodotte dalla normale attività medica e scientifica del paese.

Bene. Anzi male. Perché l'Italia, come stranoto, non riesce neanche a gestire le scorie che comunque ha. Ci dovrebbe pensare innanzitutto la Sogin, creata nel 1999 e paralizzata per lunghi anni da un doppio problema, interno ed esterno. Quello interno riguardava la sua gestione, considerata sciagurata da tutti gli osservatori ufficiali e ufficiosi: gli analisti, le commissioni parlamentari, la Corte dei Conti, l'Authority per l'energia.

Sulla macchina inefficiente, clientelare e mangiasoldi della Sogin si è detto, negli anni, tutto. Per sintetizzare: fino al 2006 la Sogin ha speso il 38% del suo budget di gestione per svolgere solo il 6% delle sue attività programmate e imposte. Piccola, ma largamente insufficiente giustificazione: il paese, inteso come classe politica che il paese lo amministra, non è riuscito a risolvere il problema principale, ovvero l'individuazione dei criteri tecnici e logistici per immagazzinare, trattare e possibilmente "disattivare" le scorie nucleari.

Ed ecco che l'Italia, paese che rinunciato al nucleare 22 anni fa e vorrebbe ricominciare ad usarlo, si ritrova tutt'oggi con la bellezza di 55 mila metri cubi di scorie radioattive prodotte dalle sue vecchie centrali, a cui si aggiungono 25mila metri cubi di detriti parimenti pericolosi prodotti dal loro smantellamento. Ci sono poi 500 tonnellate l'anno di rifiuti prodotti dall'attività medica e scientifica. Per non parlare di qualche tonnellata di scorie tra le più pericolose, parcheggiate (a caro prezzo) in Francia e in Inghilterra per un loro parziale riprocessamento ma con l'impegno di riprendercele entro una decina di anni.

Un'eredità imbarazzante, vecchia e nuova. A gestirla un po' meglio ci abbiamo provato più volte, con clamorosi passi falsi, come quello dell'individuazione, era il 2003, del sito geologico di Scanzano Ionico: invece di seppellire in eterno le scorie il progetto è stato prontamente seppellito dalle critiche dei molti esperti e dal no a furor di popolo. Ora ci si riproverà – dice il Governo – con uno o più siti di superficie. Intanto le nostre scorie galleggiano alla bene e meglio nei siti dove erano prodotte quando eravamo nucleari: nelle vecchie centrali e nei centri di ricerca e stoccaggio ad esse collegate.

Nel frattempo, dal 2007, la sgangherata macchina della Sogin ha preso improvvisamente vigore, sotto la guida dell'ex dirigente dell'Enel Massimo Romano, nonostante la mancanza di una vera rotta sulla gestione definitiva dei rifiuti. Il rapporto tra spesa e attività svolta si è invertito: l'anno scorso si è chiuso con attività di decommissioning per 46,6 milioni di euro a fronte di spese di funzionamento ridotte a 31,8 milioni.

Peccato che la Sogin abbia proprio ora il destino segnato. Il Ddl "sviluppo" ne decreta lo smebramento e dunque la scomparsa, per conferire la crema delle attività ad una nuova società pubblico-privata che in nome del rinascimento nucleare dovrebbe mettere insieme i suoi migliori operatori con le imprese nucleari italiane capeggiate, si dice, da Ansaldo Energia. Se questa sia effettivamente la soluzione migliore il dibattito è aperto. Sta si fatto che lo smantellamento di quel che aveva cominciato finalmente a funzionare rappresenta un'ulteriore incognita in una sfida già difficilissima.

L'EVOLUZIONE DELLE CENTRALI NUCLEARI

PRIMA GENERAZIONE

Anni 40-60

Nello schema un impianto Epr di terza generazione

Sono i primi progetti dimostrativi su scala commerciale, costruiti negli anni 40 e 50. Una delle tecnologie era la GCR-Magnox, con la quale l'Eni ha costruito la prima centrale nucleare in Italia, a Latina. Ha funzionato dal '63 all'86 SECONDA GENERAZIONE

Anni 70-90

Sono i reattori ora in servizio. Costruiti dagli anni 70 in avanti hanno tecnologie differenziate ma anche una scarsa uniformità dei criteri progettuali. Dopo il 1986, con l'incidente di Chernobyl, i sistemi di sicurezza si sono evoluti

TERZA GENERAZIONE

Attuale

Sono le centrali di oggi. Questo tipo di tecnologia, che si chiami EPR, AP1000 o ABWR, è di fatto un'evoluzione della seconda generazione e non rivoluziona il concetto alla base del reattore precedente. Però sono più efficienti, più economiche nella gestione, più sicure delle precedenti. Ansaldo e Enel sono coinvolte nella costruzione di questo tipo di centrali

GRAFICO INTERATTIVO/ Come funziona una centrale Epr QUARTA GENERAZIONE

Dal 2030 circa

Tutte le centrali producono scorie: rifiuti radioattivi con tempi di decadimento di migliaia di anni. La quarta generazione (in fase di studio) userà le scorie come combustibile, anche quelle prodotte negli anni precedenti.

Centrali nucleari di quarta generazione, meta lontana

11 luglio 2009

 

Centrali nucleari di quarta generazione, meta lontana

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Gli esperimenti degli anni '50, le realizzazioni pionieristiche degli anni '60, il boom nuclearista degli anni '70. Poi, dopo gli anni '80, la terza generazione, sfociata nella cosiddetta "terza generazione avanzata" che fornisce già oggi molte garanzie aggiuntive sulla sicurezza. E ora la grande suggestione della quarta generazione, con la soluzione alla principale incombenza imposta dal nucleare: la gestione delle scorie. La futura e purtroppo lontana (trent'anni e oltre) quarta generazione promette addirittura di trasformarle in "carburante" con un riciclaggio praticamente automatico che dovrebbe risolvere in un sol colpo tre grandi problemi: il costo comunque in crescita dell'uranio, la sua futura reperibilità, lo smaltimento-conservazione-disattivazione dei detriti radioattivi che ora rappresentano un onere economico con una gestione comunque difficile.

Tutto cominciò a cavallo tra gli anni '50 e '60 con le centrali nucleari cosiddette di prima generazione. Si trattava di impianti di potenza ridotta e con criteri di sicurezza neanche lontanamente comparabili con quelli attuali. Tant'è che quelle centrali o sono state progressivamente smantellate o hanno subito negli anni numerosi interventi di adeguamento.

Si arrivò, con la seconda generazione, al boom nucleare degli anni '70 ed '80, con un incremento sostanzioso della potenza e delle dimensioni dei reattori e delle centrali. Ma negli anni successivi anche questi impianti sono stati profondamente revisionati per migliorarne la sicurezza alla luce dell'esperienza operativa e dei pochi ma imbarazzanti incidenti occorsi (Chernobyl il più eclatante).

La terza generazione ha fatto tesoro di tutte le esperienze accumulate: potenze più elevate ma anche grande sicurezza, con procedure di intervento automatico di salvaguardia e spegnimento in caso di anomalia anche minima o solo sospetta. Tecnologie ora sfociate nella cosiddetta "terza generazione avanzata", come quella dei reattori Epr in costruzione in Francia e in Finlandia e che si vorrebbe adottare anche in Italia. Gli Epr sono certificati per garantire livelli assoluti di sicurezza anche in modo indipendente dalle azioni degli operatori, tramite sistemi passivi, e sono teoricamente in grado di eliminare la necessità di evacuazione della popolazione circostante l'impianto anche in presenza dei più gravi incidenti ipotizzabili.

La quarta generazione? La ricerca corre, ma guarda necessariamente lontano: 30 anni e oltre. Ma l'obiettivo si materializzerà, giurano gli scienziati impegnati nei programmi internazionali di ricerca a cui partecipa anche l'Italia: l'uranio o in alternativa altri materiali fertili o fissili saranno utilizzati in maniera più efficiente, con il riprocessamento direttamente nel ciclo di generazione del materiale esaurito. Anche quello nel frattempo prodotto dalle centrali atomiche di oggi.

 

 

 

Nucleare, domande e risposte

 

Quando sarà pronta

la prima centrale? Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, in diverse occasioni, ha preannunciato che la posa della prima pietra della prima centrale avverrà entro il 2013. L'obiettivo è quello di rendere la prima unità italiana operativa non oltre il 2020. È prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di terza generazione nucleare.

Come cambierà

il mix energetico? L'obiettivo tracciato dal governo è quello di modificare radicalmente la composizione delle nostre fonti energetiche, oggi sbilanciate su gas e petrolio. Il governo punta a raggiungere il 25% di produzione elettrica da nucleare entro il 2020.

Quante saranno

le centrali italiane? Per centrare l'obiettivo del 25% di produzione elettrica saranno necessarie almeno 12 centrali da 1.300 megawatt ognuna. Sulla base dell'accordo raggiunto il 24 febbraio scorso, in occasione del summit italo/francese, Enel ed Edf si sono impegnate a sviluppare, costruire ed esercire almeno 4 unità di generazione.

Quanto costeranno

gli impianti nucleari? I costi di investimento sono alti, in compenso i costi per il "carburante" sono ridotti ad una frazione rispetto al petrolio, gas o anche carbone. Gli oneri da programmare per gestire una centrale nucleare sono comunque in crescita. Secondo un rapporto del Mit, in sei anni le stime sui costi di costruzione degli impianti (esclusi gli oneri finanziari, particolarmente pesanti per questa tecnologia) sono raddoppiati passando da 2.000 dollari/kW a 4.000 dollari/kW.

Chi realizzerà

le centrali? Proprio la struttura dei costi di investimento e la massa critica da raggiungere per rendere conveniente l'operazione rendono praticamente obbligatoria un'aggregazione consortile. Il modello di riferimento è quello adottato in Finlandia per il loro reattore Epr: un consorzio tra operatori e grandi consumatori che si impegnano con un accordo pluriennale a ritirare elettricità così prodotta ad un prezzo prefissato.

Quali compensazioni potranno ricevere le comunità che ospiteranno i siti? Non si escludono agevolazioni tariffarie per il territorio circostante le centrali. Ma è più probabile il ricorso ad interventi a carico dei gestori del sito sulle infrastrutture (scuole, parchi ecc.). In ogni caso la costruzione di una moderna centrale atomica garantisce almeno 2.500 posti di lavoro per quattro anni e l'assunzione permanente di almeno 500 tecnici specializzati per la gestione.

 

Nucleare: schema di una centrale di terza generazione

Questo tipo di tecnologia, che si chiami EPR (nello schema), AP1000 o ABWR, è di fatto un'evoluzione della seconda generazione e non rivoluziona il concetto alla base del reattore precedente. Però sono più efficienti, più economiche nella gestione, più sicure delle precedenti. Ansaldo e Enel sono coinvolte nella costruzione di questo tipo di centrali

 

 

 

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